L’aumento dei contagi ha rapidamente dissolto le illusioni. Siamo ripiombati nei mesi bui della pandemia. Il lockdown (non sappiamo se in forma localizzata alle aree metropolitane o in modalità estesa all’intero Paese) diventa sempre più certo.

Non sappiamo se e per quanto tempo potremo ancora ritrovarci insieme a celebrare la S. Messa. Molte voci, a volte anche assai stonate e sgarbate, esigono che la chiusura dei settori del divertimento e dello svago porti alla chiusura delle Messe: senza rendersi conto di come le nostre liturgie siano disciplinate, distanziate, con le adeguate protezioni.

Siamo nel tempo dell’incertezza. Lo eravamo già prima, ma insistevamo nel negare l’evidenza o nel trovare cure palliative. Tanti segnali dicevano una precarietà in aumento: crisi economica e mancanza di lavoro, sfiducia su una politica di fraternità e di giustizia, insorgere di estremismi di massa colorati di populismo, crisi di identità culturale, migrazioni sempre in crescita, questione ambientale drammatica, cultura dello scarto… e poi crisi dei legami familiari, individualismo crescente, solitudini e disperazioni diffuse…

Poi guardo la storia, al di là dei miti e delle semplificazioni. E mi accorgo che il popolo ha sempre vissuto nella precarietà e nella sofferenza, ha sempre subito lo scorrazzare di pandemie devastanti: non solo quelle della peste o della spagnola, ma quelle della guerra, della fame, del razzismo, della schiavitù, dell’ingiustizia con tutte le sue tragiche incarnazioni.

E riguardo alla Bibbia. E ripenso al peregrinare di Abramo verso la terra di Canaan, di Giacobbe e dei suoi figli verso l’Egitto, di Mosè e di Israele verso la terra promessa e poi l’instabilità del Regno di Davide, la deportazione a Babilonia, l’oppressione dei vari potenti e infine dei Romani…

La Parola di speranza raggiunge il popolo dentro la storia delle incertezze umane, dentro il frantumarsi delle illusioni costruite con il potere, con il denaro, con l’oppressione dei deboli. Dio parla e si rende presente nella storia dei nostri fallimenti, delle nostre delusioni: spesso come memoria che ridà significato e sostanza ai giorni difficili, certamente come una luce che rischiara il cammino impegnativo che rimane davanti. La memoria consente di comprendere le responsabilità del presente ma anche di alzare lo sguardo ad un futuro che autorizza a camminare con fiducia.

Chiamiamo SPERANZA questa attitudine che interpreta il tempo come un cammino di responsabilità: siamo consapevoli della dura battaglia da combattere. Non viviamo di false illusioni che si sono sciolte come neve al sole, ma Dio e la sua Promessa ci consentono uno sguardo lieto sul futuro.

Come Israele deportato a Babilonia, privo di tempio, sacrifici e sacerdoti, rimettiamo al centro la Parola di Dio. Ci disponiamo all’ascolto. Di Dio e degli uomini. Riprendiamo in mano il Vangelo, buona notizia per l’umanità del 2020. Osiamo come ci ha richiamato il Vescovo nella vista Pastorale il ritrovarci insieme a leggere il Vangelo. Ogni mercoledì alle 15.30 in Chiesa e alle 21 in Oratorio (sia in presenza che connessi con una piattaforma digitale).

Non lasciamoci intristire dai bollettini dei contagi e dei morti: non ingozziamoci di talk show che aizzano gli scontri. Intessiamo con fantasia relazioni di speranza. Quella che viene dall’ascolto di Dio, quella che si fonda sul Cristo Crocifisso e Risorto, quella che ci porta a cogliere i germogli di fraternità e di amore vero che stanno crescendo e di continuo.

Se sono riuscito a farmi capire chiedo questo piccolo esercizio: prendi in mano il telefono e chiama un amico, con la semplice gratuità del salutarlo, dello scambio di una parola di speranza.

E poi ricaricato dalla voce amica… telefona a una persona che presumi sia nella fatica, nella tristezza, consapevole che Dio si fa presente… anche attraverso di te.

don Enrico