Domenica 21 novembre, nella festa di Cristo Re, in Chiesa la magnifica meditazione musicale dal titolo: “Bimbo mio ti presento il mondo”.

Ci sono progetti che partono da lontano, dal desiderio che nasce nel cuore di uomini e donne di raccontare un Mistero e renderlo carne, vita, emozioni.

Erri de Luca nel suo “In nome della madre” racconta tutta l’umanità di Maria, Miriàm nel suo essere scelta e portare in grembo Gesù. È un libro che amo e che ho riletto più volte perché riesce a farti immergere nelle sensazioni di questa ragazza che diventa presto una giovane coraggiosa donna. Rende Maria speciale perché ricolma di Grazia, ma nel contempo una futura mamma come tutte, con le sue gioie e le paure.

Ed ero sicura che Chiara, Ivano, Daniele, Lorenzo, Jacopo, Gianni e Marta sarebbero riusciti a rendere quelle emozioni con la loro arte e la loro musica.

“Bimbo mio, ti presento il mondo” è un progetto che parte da lontano, è un desiderio che è rimasto sospeso durante la Pandemia, e portarlo in scena domenica sera è stata la rivincita nel dire

“nonostante tutto e nonostante non sia ancora finita, ce l’abbiamo fatta”.

Suggestivo il momento musicale iniziale, che ti faceva entrare in una dimensione di pace e meditazione, così come l’ingresso in scena di Miriàm, avvolta e accompagnata dall’angelo.
E poi un susseguirsi di scene sempre più incalzanti, Miriàm che racconta dell’angelo a Iosef, Iosef che si fida di lei, non la ripudia e prende in moglie, gli sguardi e le dicerie della gente, il viaggio verso Bet Lèhem ed infine il più emozionante:  la nascita di Gesù.

Pochi oggetti di scena che diventano emblematici nel susseguirsi della vicenda, piccoli gesti delle mani e sguardi che diventavano importanti e percettibili anche da lontano: la premura di Iosef, il suo senso di protezione verso qualcosa di incomprensibile ma straordinario, il suo volere non profanare il corpo di Miriàm; a volte il corpo dice più delle parole.

Cornice perfetta del tutto, la musica. Suoni che ti riportavano all’oriente e ti facevano entrare ancora più nell’atmosfera; brani sapientemente scelti per ogni parte del racconto, per riflettere sulla scena appena proposta. Sam Watters, “La cura” di Battiato, l’ “Ave Maria” di De André hanno impreziosito ogni momento.

E proprio De André cantava Maria come “madre per sempre”: una Miriàm che subito dopo il parto aveva già capito, che suo figlio nato a Bet Lèhem – casa del pane – come il pane al tempio sarebbe stato portato in sacrificio. Una Miriàm che in quella notte non ha chiesto di salvare suo figlio, ma ha chiesto di poterlo vivere per un po’, finché sarebbe stato uomo. Una Miriàm che ha saputo portarci nella sua gioia e nella sua angoscia e tenerci col fiato sospeso, fino alle luci dell’alba, quando Ieshu non sarebbe più stato solo suo figlio, ma lo avrebbe “presentato al mondo”.

Katia Maiocchi