In questi giorni, in mezzo a tante notizie che ci riempiono di preoccupazione, ne è arrivata finalmente una bella: l’ammissione agli ordini sacri e il ministero del lettorato del nostro seminarista Jacopo Mariotti: il primo passo avrà luogo in seminario il 5 dicembre, quando il vescovo lo accoglierà tra i candidati al Sacramento dell’Ordine. Il secondo invece sarà in Cattedrale, il 13 dicembre. Tante volte abbiamo visto Jacopo in mezzo a noi, in oratorio con i ragazzi, al Grest, in chiesa per animare la liturgia. Il tempo passa in fretta e ora lo vediamo ravvicinato, se Dio vuole, alla meta: il sacerdozio. A lui abbiamo rivolto alcune domande per capire la sua scelta e che cosa si agita nel suo cuore in questo momento.
- Quando hai incominciato a sentire il desiderio di farti prete?
Non ricordo con esattezza … perché forse un momento preciso non c’è. Penso infatti che la vocazione sia un processo che nasce col tempo, che si sviluppa lungo gli anni e che si fa più chiara vivendo esperienze, incontrando persone, pregando il Signore. Ricordo però un episodio, che è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Una sera, dopo una lunga giornata in oratorio, sono rincasato a tarda ora e tra le varie cose mi ero scordato di comunicare a mia madre che non ci sarei stato per cena. Non vi dico la sua reazione! Si scatenò una discussione… e ad un certo punto, mia mamma mi disse: “Se continui a stare più all’oratorio che a casa ti mando in seminario!”. Quella che voleva essere una minaccia divenne per me la conferma che il Signore mi stava proprio chiedendo quello. Allora, perché non rispondere?!
- Quali motivazioni ti hanno spinto su questo cammino?
Le motivazioni che mi hanno spinto a prendere una scelta di questo tipo penso siano molto semplici, ma è proprio nella semplicità che il Signore si rivela: la prima ragione è legata al mio rapporto personale con il Signore. Fin da bambino infatti ho coltivato la mia fede, frequentando il catechismo, servendo alla messa e pregando il Signore; poi ho sempre frequentato assiduamente l’oratorio, i grest e i campi estivi. Tutte belle occasioni per comprendere appieno ciò che il Signore mi stava chiedendo; molto importante è stato l’aver conosciuto e frequentato sacerdoti contenti della loro scelta. Così mi son posto sempre più frequentemente la domanda: perché non seguire il loro esempio?
- A quali persone hai confidato per prime questo sogno?
Anzitutto l’ho confidato ai miei sacerdoti, i quali hanno accolto con piacere il mio desiderio e mi hanno aiutato a scavare un po’ di più dentro questa cosa. Inoltre, un paio di anni prima che lo comunicassi a loro, avevo parlato con un seminarista al quale avevo accennato questa cosa, dicendogli però che ero ancora molto giovane e che quindi avrei aspettato ancora un po’ di tempo… lui mi rispose dicendo che se davvero sentivo forte questo desiderio, avrei dovuto coltivarlo ed ero sulla strada giusta per farlo.
- Hai trovato anche qualcuno che ha cercato di dissuaderti dal seguirlo? E quali ostacoli ti presentava?
Si! In diversi mi han detto di aspettare, che forse era troppo presto e che forse la cosa giusta era finire il liceo e poi entrare in seminario. Cosa che avvenne in terza superiore. Penso invece di aver fatto proprio la scelta più giusta per me, in quel momento: il Signore mi stava chiedendo di approfondire, di cercare la strada che Egli mi stava indicando e non potevo rifiutare quest’invito! Gli ostacoli sicuramente erano molti: dovevo cambiare scuola, cambiare città (il seminario minore non c’è più a Cremona. Ho infatti frequentato per tre anni quello di Bergamo), cambiare abitudini, lasciare le mie amicizie. Insomma, c’erano tanto rinunce e tanti cambiamenti; ma ero sicuro che il Signore mi avrebbe dato tutti gli strumenti per affrontare al meglio le novità che si stavano presentando.
- Tra i tuoi coetanei o amici che reazioni hai registrato?
Quelli che più mi erano vicini un po’ se lo aspettavano, anche perché avevo già confidato loro questo desiderio. La loro reazione è stata sia positiva che negativa: erano molto contenti per l’inizio di questo mio cammino, anche se però sapevano che la nostra amicizia non sarebbe stata più come prima. Mi ha stupito invece la reazione di chi conoscevo solamente di vista: queste persone si sono interessate molto alla mia scelta e mi hanno rivolto, incuriositi, molte domande. Questo mi ha fatto molto piacere.
- È stato duro distaccarti dal tuo ambiente (dalla famiglia, dall’oratorio…) per entrare in seminario e iniziare una vita di comunità?
Le abitudini, dal mio ingresso in seminario, sono profondamente cambiate: la vita in seminario è scandita da impegni e orari ben precisi. Rispettarli non è stato semplice e per me, all’inizio, è stata una grande fatica. Ambientarsi e imparare a vivere all’interno di una comunità non è facile: sono molte le dinamiche che caratterizzano la vita di seminario e l’unico modo per destreggiarsi il meglio possibile è viverci.
- Hai qualche rilievo – positivo o negativo – sul metodo educativo che ancora oggi si usa per preparare i futuri sacerdoti?
I metodi educativi nella formazione dei futuri sacerdoti potrebbero esser molti. La Chiesa però crede ancora che il metodo migliore, seppure modificato, trasformato e adattato, sia quello della formazione all’interno dei seminari. In essi infatti è possibile avere una formazione a trecentosessanta gradi, che mescola preghiera, studio, vita comune ed esperienza pastorale. Penso che quindi, tra gioie e fatiche, il seminario può essere ancora un luogo capace di formare ed educare, nonostante abbia bisogno di un continuo aggiornamento, perché resti al passo coi tempi, sapendo dialogare sempre di più con il mondo.
- Quali sono state le esperienze più significative o i formatori più incisivi in questi anni?
Penso che le esperienze più significative siano state quelle nelle parrocchie nelle quali sono stato mandato a svolgere il mio servizio nel fine settimana. Lì ho potuto sperimentare, per quanto possibile, quello che potrà essere il servizio che svolgerò un domani. Le attività di catechesi, la messa domenicale, le belle relazioni costruite sono tutte esperienze formative, che colmano il cuore di gioia.
- Con quali preoccupazioni ti avvicini alla meta?
Più che vedere l’ordinazione come una meta, la vedo come un inizio. Non posso negare che vi siano diverse preoccupazioni: la paura di non essere all’altezza, il timore di non essere fedele fino in fondo, di fermarmi davanti ai problemi senza essere in grado di superarli. Davanti a tutte queste preoccupazioni però penso che il sostegno della Grazia del Signore possa aiutarmi, possa spingermi a reagire davanti alle mie paure e insicurezze. È solo con essa, infatti, che una vocazione può dirsi feconda.
- Qual è l’ideale di prete che hai in mente?
L’immagine di prete che mi sta accompagnando in questi anni è quella del “prete per tutti”. Il prete infatti deve essere per tutti: per i più vicini e per i più lontani, per chi crede e per chi non crede. Insomma, un prete per tutti. Proprio come deve essere l’annuncio evangelico che è per tutti.
- Che cosa ha rappresentato nella tua crescita la comunità di Cristo Re?
La vocazione è qualcosa che sempre si sviluppa all’interno di una comunità cristiana. E la comunità di Cristo Re è stata proprio la cornice della mia esperienza vocazionale. La mia vocazione è cresciuta e si è sviluppata proprio lì, vivendo insieme la celebrazione eucaristica e le diverse esperienze proposte dall’oratorio. La comunità però non è solo luogo nel quale la vocazione cresce, ma da’ a chi è chiamato la forza di rispondere, attraverso la preghiera.
- Che cosa chiedi a noi per questo tempo che ti avvicina alla meta?
È proprio per quest’ultima ragione che vi chiedo di pregare per me, perché la chiamata che il Signore mi ha rivolto possa crescere ancor di più e possa svilupparsi. Vi chiedo poi di starmi accanto perché questa storia non sia solo mia, ma sia nostra.
(intervista a cura di Cesare Ghezzi)