Ti ho guardato crocifisso.
Con le mani inchiodate.
Impotente di fronte al dilagare del male.
Quelle mani che avevano benedetto e spezzato i pani.
Quelle mani che avevano risanato lebbrosi, ciechi e paralitici.
Ti ho guardato crocifisso.
Con i piedi inchiodati.
Immobile davanti ai nostri tormenti e alle nostre angosce.
Quei piedi che avevano percorso villaggi e città per recare la Buona novella.
Quei piedi che erano saliti sui monti delle beatitudini e della trasfigurazione.
Ti ho guardato crocifisso.
Con il fianco squarciato, il cuore aperto.
Fermo è il battito ma non l’amore.
Quel cuore mite e umile, fino alla morte di Croce.
Quel cuore spalancato per rivelare la misericordia assoluta del Padre.
E anche noi ci troviamo impediti a restare vicini alle persone.
Rinchiusi e imprigionati quando per vocazione siamo chiamati ad essere per le strade dei fratelli.
Vulnerabili e fragili, come il tuo corpo appeso alla Croce.
A contemplare il tuo amore che trasfigura comunque
nel lavoro indomito dei medici e di tutto il personale sanitario
nel fremito dei malati con i loro torbidi pensieri, come quelli del Getsemani
nell’inquietudine di chi deve prendere gravi decisioni per il Paese.
Non possiamo che amare.
Come un padre quando i figli partono per strade temerarie.
Come una madre quando i figli soffrono i dolori del vivere.
Come i monaci nel silenzio e nascosti nell’ombra.
Come il Cristo crocifisso, inchiodato alla croce.
Come Padre Damiano a Molokai vorrei essere a fianco dei nuovi lebbrosi negli ospedali.
Ma se poi divento un peso in più per i medici
e rischio di togliere un posto letto a chi ne ha più bisogno?
Come Madre Teresa vorrei essere a confortare i moribondi.
Mi urta che non abbiano accanto i parenti, gli amici, i loro preti…
Signore, hanno bisogno di un gesto di affetto, di parole di speranza!
Come Gesù a fianco di Marta e Maria vorrei spartire il peso del lutto e ridare speranza.
Signore donami di inventare nuove vie per consolare chi piange i propri morti.
Non giudichiamo le restrizioni che sono l’estremo tentativo di proteggere i più deboli.
Soffriamo in silenzio il non poter condividere le lotte e i dolori della nostra gente.
Come far risuonare la tua Parola di vita e di speranza?
Scusate se siamo impertinenti col telefono, con i social.
Obbedienti e sofferenti. Con voi tutti. Implorando lo Spirito Consolatore. Per tutti.
Per voi celebriamo la Messa.
Per i nostri malati, i nostri medici e infermieri. Per i nostri ragazzi e bambini.
Tu che sei la via, insegnaci come essere preti nel tempo del Coronavirus.
E poi il pensiero va ai bambini insofferenti che non capiscono il restare chiusi,
ai ragazzi che improvvisamente si sono ritrovati senza allenamenti e partite
ai genitori che faticano a rendere ragione delle situazioni e dell’apprensione
agli anziani ansiosi e soli nel loro angusto appartamento
agli uomini e alle donne che si trovano senza poter lavorare
ai malati con le loro speranze e le loro angosce.
Per tutti loro celebriamo ogni giorno la Messa
in questa quaresima
che davvero è un deserto…
luogo della prova e luogo dell’incontro con Dio.
Tu che sei la via, insegnaci come essere preti nel tempo del Coronavirus.
Don Enrico