Con settembre riprendono le scuole e anche diverse attività della parrocchia e dell’oratorio.
Quest’anno tutto è complicato: la pandemia rende la ripartenza difficile e normata da regole in continua fluttuazione. Non mancano le apprensioni… ma allenati dal Vangelo ancor più prevalgono le speranze, i desideri che allargano il cuore agli orizzonti di Dio.
Ogni famiglia, ogni gruppo sta facendo i conti con nuove ansie e inedite problematiche. E anche come comunità cristiana possiamo fare l’elenco delle cose che ci angustiano.
- I poveri che aumentano per la mancanza di lavoro, per la mancanza di prospettive di fronte a ricchi che diventano ancora più ricchi.
- Le famiglie messe a dura prova: alle difficoltà di sempre le imperiose restrizioni talvolta hanno esacerbato gli animi, evidenziato le differenze, scavato fossati dentro le case, vissute come prigioni.
- Le giovani generazioni (dai bambini ai giovani, passando per i ragazzi e gli adolescenti) sono private di alcune consolidate modalità di relazione e di crescita: e ci domandiamo come rilanciare le attività dell’oratorio, dal catechismo alle esperienze ludiche, sportive e associative (come gli Scout).
- La vita sociale e comunitaria sembra minata dalle regole di precauzione sanitaria (distanziamento, mascherine, evitare i sovraffollamenti) incentivando individualismi e chiusure nel privato, nel piccolo gruppo con cui si sta bene.
- La Chiesa in uscita, quella che sa andare incontro alle persone, deve riaggiornarsi negli strumenti e nelle modalità e radicarsi nelle motivazioni perché la diffidenza spesso impedisce l’incontro, la distensione del dialogo…
L’elenco potrebbe essere allungato con molte altre fatiche e apprensioni. Ci daremo anche il tempo per condividerle e rielaborarle.
Eppure la Parola del Signore torna a spirare viva tra di noi. Ricordiamo quando tra la fine di febbraio e la fine di maggio siamo stati impediti di ritrovarci insieme per ascoltare la Parola di Dio e celebrare l’Eucarestia?
A dire il vero nella nostra comunità l’unica cosa che abbiamo continuato a fare attraverso le piattaforme digitali è stato il far risuonare la Parola di Dio, il leggerla insieme, il rilanciarla attraverso i gruppi di WhatsApp.
Ora ci è consentito di leggerla insieme. Di partecipare alla Messa. Di riprendere una trama di rapporti che vogliono essere espressione di un Vangelo vivo e vivificante.
Noi crediamo nella presenza dello Spirito che mai ci abbandona e che getta una luce di speranza sul futuro: è il Paraclito che sempre ci accompagna e a maggior ragione ora. Se anche ci sembra di essere chiamati davanti ai tribunali che sentenziano l’inutilità della fede noi perseveriamo: “quando vi consegneranno, non preoccupatevi di come o di che cosa direte, perché vi sarà dato in quell’ora ciò che dovrete dire: infatti non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi” (Mt 10,19-20).
Noi crediamo nel primato della carità. Si affacciano nuove e vecchie povertà, materiali e spirituali. Non abbiamo il monopolio del bene, ma ci facciamo umili compagni di viaggio di tutti coloro che si dispongono a sorreggere le persone affaticate, amareggiate, deluse, senza lavoro, impaurite e rinchiuse nella solitudine. “Amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore” (1Gv 4,7-8).
Noi crediamo di essere insieme chiamati al Vangelo. Non si tratta di dare soltanto risposte individuali, ma di cogliere che nella singolarità delle responsabilità siamo chiamati ad edificare relazioni e comunità. “Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda” (Gen 1,18). La relazione uomo-donna è il riferimento primario ad una relazione di alterità, che evoca tutte le relazioni, ciascuna con caratteristiche e difficoltà originali, ma sempre esprimono il superamento di ogni tentazione di individualismo. Sappiamo quanto sono fragili le relazioni coniugali, quanto vulnerabili le amicizie, quanta diffidenza suscitano le differenze religiose, etniche, culturali fino al riemergere di razzismi e violenze. Anche la comunità cristiana non è esente da divisioni e da maldicenze. Ma l’invito di Gesù è chiaro, ed è rivolto agli undici (il numero segnala la defezione di Giuda, segno che la nostra comunità non è composta da gente perfetta): “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli” (Mt 28,19). C’è una corresponsabilità che ci unisce: insieme abbiamo ricevuto una missione, un vivere il Vangelo, un ansia di testimoniarlo agli altri, un aprire l’immenso tesoro della Misericordia divina a tutti i popoli, a tutte le persone.
Noi crediamo che questo è il tempo dell’ascolto di Dio e dei fratelli e non della tristezza. Se c’è un qualcosa su cui dobbiamo tutti puntare è l’ascolto della Parola, il coltivare la vita spirituale, il sintonizzarci sul pensiero di Dio ma dentro la realtà della vita e dei fratelli. Solo così non indulgeremo alle amare nostalgie e neppure ai complottismi che ci fanno evadere dall’impegno e dal rischio personale. Solo se coltiviamo la comunione con Dio avremo il coraggio di guardare al futuro come ad un’occasione positiva. Come ad una possibilità di testimonianza che insieme siamo chiamati a rendere. Come dono gratuito alle giovani generazioni.
“Per ascoltare Dio ascoltando i fratelli, abbiamo bisogno di tempi più lenti e distesi, di meno frenesia attivistica e più silenzio, preghiera, contemplazione. L’anno liturgico ci educherà a questo, se non lo infarciremo di tutto, per privilegiare ciò che favorisce l’ascolto della Parola, la sequela di Gesù, la condivisione delle esperienze di fede” (il Vescovo Antonio Napolioni, Nell’oggi e nel domani di Dio, p. 19).
Ma su questo e sulle proposte del Vescovo per questo nostro tempo… ritorneremo.
Per ora questo imperativo: guardiamo al futuro con speranza, come a un’occasione da non sciupare. Non da soli, ma insieme!
don Enrico